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FUORI delle RIGHE

pietro a pentecoste

Parti, Medi, Elamiti - At 2,1-11


Dagli Atti degli Apostoli

Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? Siamo Parti, Medi, Elamìti; abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, della Frigia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, Giudei e proséliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio».


Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia

Ecco la pentecoste... diversità di popoli e di etnie... fuori di sé per lo stupore perché sentono nelle loro lingue annunziare le grandi opere di Dio.

Questo evento ci racconta le contraddizioni che viviamo, molti aspetti dell'oggi farebbero pensare ad una uniformità di mentalità e di cultura: pensiamo al linguaggio di internet, alle pellicole cinematografiche presenti contemporaneamente nella sale di tutto il mondo, la musica, la moda, la TV satellitare, pensiamo al linguaggio scientifico, tecnico, parrebbe che tra gli uomini ci sia maggiore possibilità di comprensione ed invece ecco che saltano fuori le diversità... Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia... si manifestano gli etnicismi (veri o fasulli), comportamenti abnormi, richieste e pretese che rasentano l'assurdo. Pensavamo di andare verso una uniformità e invece ciò che cresce tra di noi oggi è proprio la difformità.

Non è che questa aspettativa di uniformità, di fatto, nasconda una qualche prevaricazione di una cultura sull'altra? Non è che un linguaggio ci venga in qualche modo imposto da una economia dominante? Non è che uno strisciante nuovo colonialismo cerchi strade di dominio?

E' possibile che anche il cristianesimo sia diventato parte di una "cultura" d'esportazione? Che Gesù, e la simbologia a lui legata, sia diventato un segno d'appartenenza non ad una Chiesa, ma ad una cultura dominante (pensiamo alle croci gioiello sempre più gandi ed evidenti)? E' possibile che il cristianesimo sia diventato un segno di opposizione rispetto ad altre culture?


"Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. ” (Giovanni 16,12).

Senza lo Spirito ogni prospettiva di universalità è vana. E' lo Spirito che dà alle parole vecchie di duemila anni fà il valore della novità.

La fede in Cristo non ci fà archeologi di una storia del passato, né megafoni di parole antiche ma, nello Spirito santo, ci rende capaci di fare memoria e su quella memoria comprendere l'oggi... c'è un passato che lo Spirito ci ricorda, ma un oggi che ha bisogno di nuovo e per cui lo Spirito ci insegna ogni cosa.


cominciarono a parlare in altre lingue

Nella pienezza dello Spirito che nasce una comunicazione nuova: lo Spirito di Dio parla, annunciando la Parola del Cristo, e ciascuno la comprende nella sua lingua, nella sua cultura, nel suo modo di essere uomo (si potrebbe forse azzardare nel dire che alla fin fine comprende la Parola che viene da Dio nella sua religione).

La Parola di Dio e lo stesso Cristo, dopo l'Ascensione e la Pentecoste, non può rimanere cristallizzato in moduli culturali con cui noi lo conosciamo e lo annunciamo e che, tra l'altro, sono diversissimi dai moduli culturali in cui il Gesù è cresciuto e vissuto nella sua esperienza storica.


Abitavano allora a Gerusalemme ...

Se poi guardiamo alla Gerusalemme di casa nostra e in particolare i "Parti, Medi, Elamiti..." che sono presso di noi, allora davvero la Pentecoste diventa una provocazione enorme.

La Pentecoste ci costringe a fare uno sforzo di comprensione con chi ci sta vicino, e non è il solito discorso sull'immigrazione (non per escluderlo ma per comprenderlo in una realtà più vasta), piuttosto sulla diversità di casa nostra. C'è una estraneità che ci circonda come nel salto generazionale, una estraneità che viene esasperata ed ostentata dalle generazioni giovani. C'è una difficoltà di comprensione nei confronti dei portatori di handicap e di sviluppo delle loro capacità, una difficoltà talmente grande da soprrimerli ancor prima che nascano. C'è un imbarazzo, una non comprensione ed un rifiuto nei confronti delle persone omosessuali. L'elenco sarebbe estremamente lungo prima di arrivare al fenomeno di coloro che chiamiamo stranieri (o peggio estracomunitari) che stanno presso di noi.

Parlare di Pentecoste non vuol dire fare un discorso "religioso" o "spirituale", piuttosto portare all'estreme conseguenze il "mistero dell'Incarnazione". Noi siamo chiamati a parlare "come lo Spirito ci dà da esprimerci" ed accogliere "ciascuno che li sentiva nella propria lingua". Siamo chiamati ad assumere la diversità come una sorta di provocazione a ricomprendere i nostri rapporti, la nostra fede, il dono (la grazia) di Dio che abbiamo ricevuto, a dare "libertà" allo Spirito che è in noi, che nella diversità "ci ricorda e ci insegna".